BELLUNO – Succedesse in Medio Oriente, in Puglia o Sicilia, pazienza. Ma stavolta la guerra dell´acqua ha raggiunto il posto più inimmaginabile: le Alpi, bastione idrografico d´Europa. Un posto dove “l´oro blu” scende a torrenti, alluvioni, temporali, nevicate, slavine; talmente tanto che le montagne sono state ribattezzate “torri d´acqua”. Un affare serio, dunque. Una partita che segna un incrudimento dello scontro per le risorse, e che accade per giunta sul Piave, un posto che di guerre la sa lunga. Accade che la provincia di Belluno – che copre il cuore delle Dolomiti ed è l´unica provincia di montagna del Veneto – s´è stancata di regalare la sua acqua al resto della regione.
La festa è finita. Ora i montanari chiedono non solo un compenso adeguato, ma anche decidere quando e in che misura aprire i rubinetti. O almeno sedersi allo stesso tavolo dei padroni dell´acqua – Enel, Regione e Consorzi di bonifica – con un peso maggiore di quello avuto finora. Rivendicazione simbolica? Per niente. Un “team” di avvocati ha spulciato le leggi della regione Veneto, la giurisprudenza nazionale sul demanio idrico, le norme Bassanini sul decentramento e persino la Costituzione, e ora la giunta provinciale ha sparato una delibera unica in Italia, che formalizza il trasferimento al demanio locale dei cinque laghi più importanti: Santa Croce, Corlo, Pieve di Cadore, Alleghe e Ponte Serra. Il presidente della giunta, il battagliero pd Sergio Reolon, ha piantato bei cartelli sulla battigia e – tra gli applausi dei valligiani di destra e sinistra – ha dichiarato la secessione “idrica” da Venezia. Un fatto inaudito per la città serenissima. Ma soprattutto una dichiarazione di guerra al Veneto agricolo-industriale, pilastro del consenso alla giunta Galan.
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